Intervista per lopinionista.it
L’arte si evolve, attinge dalla realtà, si trasforma continuamente per esser sempre diversa e mai sbagliata. L’arte non si giudica si contempla lasciandole la libertà di essere e di condurci alla riflessione, all’ammirazione e persino alla repulsione.
È una donna leale e coraggiosa Anna Santoriello che in piena pandemia ha deciso di fondare la sua casa editrice. Il nome scelto? Rosabianca Edizioni. Di questo e di molto altro ancora ci ha parlato la giovane e brillante editrice.
Anna, Rosabianca Edizioni è nata durante la pandemia. Perché ha deciso di fondarla proprio in quel periodo?
Perché avevo bisogno di una svolta. Il periodo pandemico ci ha travolto e sconvolto la vita, nulla sarebbe stato più come prima e forse era proprio questo il mio desiderio. Il cambiamento sancisce sempre una fine e un nuovo inizio e a me piacciono le sfide!
Lei che cosa ha pensato quando ci hanno comunicato al Tg che dovevamo starcene chiusi in casa per il nostro bene e quello altrui?
All’inizio, come tutti, e credendo che non sarebbe durata più di qualche settimana, bene: mi sarei riposata, avrei avuto il tempo di cucinare cose più elaborate (sì, amo cucinare!) e, magari, lavorato con più calma. Poi, col passare dei giorni ho cominciato ad avvertire un senso di oppressione tale da spingermi a riflettere. Avevo bisogno di un nuovo scopo, di un qualcosa che nonostante tutto rendesse ancora belle le mie giornate. Ed eccoci qui a parlare di Rosabianca Edizioni.
Decisamente, facendo tale scelta, si è dimostrata una donna molto ma molto coraggiosa. Ma con quale altro aggettivo si descriverebbe?
Leale. Sì, la lealtà, è per me una caratteristica fondamentale in una persona. Perché è sinonimo di sincerità, coerenza e affidabilità. Perché si dimostra con i fatti e non solo a parole, perché se non sei leale con te stesso e con gli altri allora chi sei? Do sempre il massimo, sia in campo lavorativo che personale, e mi aspetto, a volte invano, lo stesso. Ma sono fatta così, e non cambio idea per adeguarmi. Semmai abbozzo un sorriso e passo oltre.
Il suo obiettivo, come si evince dalla lettura della sua biografia, è “emergere in un Paese di emergenti”, come si può farlo oggi dove c’è anche molta improvvisazione in tanti settori?
Non amo improvvisare in ambito lavorativo, sono una che pianifica, che calcola errori e imprevisti. Una CE per essere produttiva ed efficiente deve seguire tempi e schemi prestabiliti, non può “tentare” deve “agire” e per farlo ha bisogno che l’intero staff a suo servizio sia dedito, preciso e puntuale. Non lascio al caso le carriere letterarie dei miei autori, tanto meno le loro speranze e aspettative. Perché poi diventano anche le mie.
Ma improvvisare non è – forse – anche un’arte?
Sicuramente. Ma per improvvisare e “riuscire” occorre preparazione, esperienza e sangue freddo. Altrimenti si fa la figura dei dilettanti, di quelli che, snobbando chi s’impegna e lavora, hanno “tentato” ma fallito. Quindi sì, ma anche no.
Come è cambiata – a suo avviso – l’Arte nel corso del tempo e la sua visione?
L’arte si evolve, attinge dalla realtà, si trasforma continuamente per esser sempre diversa e mai sbagliata. L’arte non si giudica si contempla lasciandole la libertà di essere e di condurci alla riflessione, all’ammirazione e persino alla repulsione. “L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni” diceva Picasso; non deve essere bella o brutta, ma deve scuoterci, suscitare in noi un’emozione non un giudizio.
E la Scrittura? Si dice che oggi siamo un popolo di scrittori ma non di lettori. È davvero così? Perché si legge meno?
Io credo che si scriva ciò che più si ha bisogno di leggere, e viceversa. Mi spiego meglio. La maggior parte degli scrittori scrive perché è una necessità, c’è chi lo fa perché è terapeutico e chi perché vorrebbe vivere una storia come quella che sta sviluppando, ma ciò che invece penso sia uguale per tutti è il riscontro positivo del pubblico. Oggi anche pubblicare un post è scrivere, e quali sono quelli che hanno più successo? Gli empatici, quelli in cui il lettore si rispecchia e trova conforto. Non credo si legga di meno, ma che si cerchino libri in maniera più mirata, libri in grado di farci sentire capiti, risolti, perché ti senti meno solo se sai che qualcuno prima di te ha provato le “stesse cose”.
Alcuni – tuttavia – sostengono che non è vero che si legga meno ma che si leggano testi di più bassa qualità e che soprattutto non si conoscano i classici. La sua opinione a riguardo?
I classici sono la base, la partenza e a volte il ritorno. I classici sono saggi, nel senso di assennati, sono il consiglio che chiedi ai tuoi genitori quando sei in difficoltà, o il punto di riferimento quando sei di ritorno dal mondo e vuoi riposare in braccia sicure. Erroneamente si pensa che essi siano “pesanti”, credenza popolare che assume quasi i connotati della leggenda soprattutto tra i più giovani, ma quanta attualità si può ritrovare nel classico “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera? Quanta greve leggerezza accomuna storie vecchie e nuove? Le storie di tutti, insomma. E poi per sapere che un testo è di bassa qualità, si deve prima leggerlo, che controsenso!
Ma quando un testo si può definire tale?
Un testo per me è tale quando è strutturato. E anche qui c’è poco da improvvisare. Quando arrivi all’ultima pagina e ti dispiace averlo finito. Tutto qui.
Quali sono i libri, magari anche classici, che rappresentano la sua infanzia e la sua fanciullezza?
Il mio preferito da bambina era “La sirenetta” di Andersen. Ho perso il conto delle volte che ho letto il libro e visto il cartone animato, e ogni volta era come se fosse la prima.
A proposito, che bambina e che adolescente è stata lei?
Come anticipato nella biografia, sono stata una brava bambina che io ricordi, ubbidiente e studiosa (ma dovreste chiedere conferma a mia madre!), mi piaceva proprio andare a scuola. Alle medie meno, al liceo mi sono impegnata tanto. Non sono stata “ribelle” come si dice che l’età richieda, o almeno non ne ho avuto bisogno: i miei mi hanno capita quasi sempre. Sì, sono stata fortunata.
Se si guarda indietro nel tempo, c’è qualcosa che non rifarebbe e perché?
Beh, sì, qualcosa la farei diversamente. Più di tutto crederei un po’ più nella me stessa dei vent’anni ma, come si dice… Meglio tardi che mai!